Siamo tutti concentrati su Ucraina e Striscia di Gaza ma non sono solo questi i conflitti in corso, anzi. Uno dei più drammatici e del quale se ne parla poco è quello che da due anni sta martoriando il Sudan. “La guerra civile in Sudan va avanti dall’aprile 2023, è l’emergenza umanitaria più grave di tutto il pianeta (quasi 13 milioni di persone in fuga, 150.000 le vittime stimate), ma difficilmente ne avrete sentito parlare. È raro vedere servizi sul Sudan nei tg e nei giornali, non hanno avuto spazio le immagini delle fosse comuni scovate dall’occhio del satellite o quelle, più recenti, del museo nazionale di Khartoum devastato, con le mummie millenarie esposte e i reperti storici trafugati”. Si legge tutto questo in uno speciale pubblicato su Repubblica. Purtroppo è la cruda realtà, esistono conflitti di serie A ed altri di serie B, e questo del Sudan ricade nel secondo gruppo.
La ‘guerra invisibile’ in Sudan. 13 milioni di profughi
Medici Senza Frontiere lancia l’allarme sulla guerra in Sudan che sta andando avanti da due anni. “Silenzio e negligenza internazionale per la crisi umanitaria più grande al mondo” si legge nel titolo di questo articolo uscito sul Fatto Quotidiano. In Sudan “il 70% delle strutture sanitarie è chiuso o funziona a malapena, con carestia dilagante, focolai di morbillo, colera e difterite e 13 milioni di profughi”. Un quadro drammatico che mette in evidenza l’ipocrisia dello sguardo del mondo verso questi ‘conflitti invisibili’. “La guerra in Sudan entra nel suo terzo anno, ma a far rumore è ancora il silenzio e la negligenza internazionale di fronte alla crisi umanitaria più grande al mondo. Tredici milioni di persone, più dell’intera popolazione della Lombardia, sono state costrette a lasciare la propria casa. Oggi, più che mai, è necessario che si diano aiuti concreti alla popolazione, anche perché la risposta umanitaria è assolutamente inadeguata”.
Steve Witkoff: “Potremmo essere sul punto di qualcosa di molto importante per il mondo”, ma Lavrov frena
Dal conflitto in Ucraina non sembrano arrivare buone notizie. Steve Witkoff, l’inviato speciale della Casa Bianca andato da Putin con la mano sul cuore, dice invece che Mosca vuole una “pace permanente”. Intervistato dalla Fox News, si legge su Blitz Quotidiano, ha dichiarato che “potremmo essere sul punto di qualcosa di molto, molto importante per il mondo intero”. E non potremmo che essere felici se questa prospettiva si realizzasse. Nel medesimo momento però il “ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha commentato la difficoltà dei negoziati, affermando: ‘Non è facile concordare gli elementi chiave di un accordo’. Lavrov ha riconosciuto a Washington il merito di ‘aver cercato di approfondire il problema’, a differenza dell’Europa”. Chissà a che punto sono veramente questi negoziati. Nell’attesa che comunque arrivi qualcosa di buono, continuiamo a contare i morti, in Ucraina come nella Striscia di Gaza. Al link qua sotto tutto l’articolo.
Le “richieste” della Casa Bianca rifiutate da Harvad
Lo scontro tra l’amministrazione Trump e Harvad segue al rifiuto dell’ateneo di adeguarsi alle richieste della Casa Bianca. Il Fatto Quotidiano ha pubblicato il documento che contiene queste richieste nella sua versione integrale. “Stop ai programmi di inclusione su base etnica o di censo, controllo delle assunzioni, delazione su eventuali comportamenti contrari alle nuove regole, collaborazione con il Dipartimento di sicurezza” tanto per citare alcune delle ‘indicazioni’ trumpiane. Non c’è da gioire, anche perché Harvad è una delle eccellenze mondiali e in questa contrapposizione rischia molto, un blocco di 2,2 miliardi di dollari in sovvenzioni pluriennali e di 60 milioni in contratti pluriennali. Probabilmente Harvad ha le risorse per andare avanti a prescindere dai finanziamenti pubblici, ma è ineludibile che la durezza dell’attacco sferrato a questa istituzione avrà delle conseguenze. Infatti, anche l’università Columbia si è unita ad Harvad per la lotta. Anche questo nuovo fronte non promette niente di buono.
Trump vs Harvad: l’ateneo rischia il blocco delle sovvenzioni
Anche le Università americane entrano nel mirino di Trump. Si apre un altro fronte per il tycoon. Questa azione politica però non è una novità. Il “nemico università” era già stato individuato in campagna elettorale. Forse il nemico interno numero uno per Trump. “L’università non si adegua alle politiche della nuova amministrazione americana? La Casa Bianca le taglia i fondi” si legge sul Fatto Quotidiano. “Non si tratta, però, di un ateneo qualsiasi, ma della prestigiosissima Harvad alla quale Donald Trump ha annunciato il blocco di 2,2 miliardi di dollari in sovvenzioni pluriennali e di 60 milioni in contratti pluriennali. La mossa del tycoon arriva dopo la presa di posizione dei vertici universitari che, dopo aver ricevuto la scorsa settimana una lettera da una task force federale che delineava ulteriori condizioni politiche”. Dunque Harvad, eccellenza americana per anni in tutto il mondo, rischia grosso.
Premi Strega 2025, la dozzina dei finalisti che non ti aspetti
Arriva la dozzina del Premio Strega 2025, ovvero i dodici libri che si contenderanno il Premio. Quest’anno ci sono delle sorprese. Rimangono fuori alla dozzina importanti case editrici: l’Einaudi, La nave di Teseo, Adelphi. “Lo Strega più pazzo del mondo” l’ha definito Raffaella De Santis in questo articolo su Repubblica. “Ha preso il volo con una dozzina inaspettata che creerà qualche mal di pancia. Ci sono naturalmente i favoriti al rush finale verso il podio: Andrea Bajani con L’anniversario (Feltrinelli), Nadia Terranova con Quello che so di te (Guanda) e Paolo Nori con Chiudo la porta e urlo (Mondadori). Ricordiamolo, questa dozzina verrà ulteriormente scremata, dimezzandola fino ad arrivare a sei super finalisti. “La finale si terrà giovedì 3 luglio come di consueto nel giardino del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia”. Che vinca il migliore, e soprattutto speriamo che questi libri poi vengano comprati e letti.
Dopo 53 anni è ancora “Sunday Bloody Sunday”, da Gaza City a Sumy
“Sunday Bloody Sunday cantavano gli U2 negli anni Ottanta, ricordando la domenica di sangue in cui l’esercito del Regno Unito sparò sui partecipanti a una manifestazione il 30 gennaio 1972, uccidendone quattordici” scrive Silvia Di Pasquale su Blitz Quotidiano. Ma l’articolo non riguarda l’iconica band musicale di Dublino. “Dopo 53 anni ci risiamo. Cambiano i fronti, in questo caso Gaza e l’Ucraina, ma il ricordo di un’altra Bloody Sunday è qualcosa di reale. La scorsa domenica delle Palme verrà ricordata per il bombardamento dell’ospedale di Gaza City, con un bambino ricoverato per un trauma cranico che è deceduto nello spostamento. Sul fronte ucraino, la città di Sumy è stata marchiata con il sangue da due missili balistici russi. Il bilancio è di decine di vittime, inclusi due bambini, cui si aggiungono oltre un centinaio di feriti”. Per leggere tutto l’articolo di Silvia Di Pasquale cliccare sul link qua sotto.
Gli Stati Uniti non firmano il documento del G7 che condanna la strage a Sumy
Si era già abbondantemente capito che la Casa Bianca sorride verso Mosca e mette il broncio quando invece guarda Kiev. L’ultima decisione dell’amministrazione americana dentro questo solco è stata quella di non firmare un documento del G7 a condanna della strage a Sumy. Sul Fatto Quotidiano si legge che “gli Stati Uniti hanno rifiutato di sostenere un comunicato di condanna del G7 all’attacco russo a Sumy citando il desiderio di continuare le trattative con Mosca”. Alcune fonti sostengono infatti che la decisione è arrivata come una necessità, visto che la Casa Bianca “stava lavorando per preservare lo spazio per negoziare la pace”. Conseguentemente a questa posizione, il Canada, “che ha la presidenza del G7, ha quindi detto agli alleati che senza il sostegno americano sarebbe stato impossibile procedere con il comunicato”. Dunque, necessità o contrarietà? Gli Stati Uniti continuano la loro corsa verso una nuova politica estera.
Meloni: “È un momento difficile, vediamo come va a finire”
La trattativa con Trump è molto dura. Il negoziato con l’Europa è in corso. In questo articolo sul Fatto Quotidiano si legge “giornata difficile per le trattative tra l’Unione europea e gli Usa sui dazi. La missione oltreoceano del commissario al Commercio Maroš Šefčovič non ha avuto l’effetto sperato: Donald Trump ha rifiutato la proposta di rimuovere le tariffe sulle esportazioni di beni industriali. Allo stesso tempo, però, il capo della Casa Bianca ha detto di stare valutando una temporanea esenzione del settore auto, per dare tempo – dice – alle aziende di spostare la produzione negli Usa”. Due cose emergono da questa notizia. La prima è che la visita della Meloni alla Casa Bianca non è centrale per la soluzione del problema: certo, può aiutare ma non è centrale. E la seconda è che la stessa Presidente del Consiglio è molto preoccupata: “È un momento difficile, vediamo come va a finire” ha detto.
Meloni un governicchio? Dai sondaggi sembrerebbe di no
“Il governicchio: così definisce la sinistra l’esecutivo di Giorgia Meloni. Tre anni (o quasi) a Palazzo Chigi: risultati vicino allo zero, con il Paese che soffre di un bilancio da paura”. Inizia così questo articolo di Bruno Tucci su Blitz Quotidiano. “L’opposizione fa il suo mestiere”, continua a scrivere, “cerca di mettere il bastone fra le ruote a chi ha vinto le elezioni. Trova ogni giorno un cavillo su cui imperniare la sua polemica. Niente da dire: in democrazia questo è il gioco dell’alternanza. Ma chi sono coloro che vorrebbero rivoluzionare l’attuale assetto politico? Sono quattro o cinque partiti che non si mettono d’accordo su niente”. Merita peste e corna questo esecutivo? si domanda Tucci in questo articolo: “Assolutamente no, se dobbiamo stare ai sondaggi che continuano a dare ai Fratelli d’Italia percentuali che sono al di sopra del trenta per cento”. Per leggere tutto l’articolo cliccare nel link qua sotto.